Spada a due mani

La spada a due mani o “da due mani” o spadone, rappresenta nell’immaginario di molti la spada per eccellenza, la spada definitiva sia per efficacia che per nobiltà.
In realtà, pur trovando questo tipo di arma in diverse epoche che spaziano dall’Età del Bronzo fino al Rinascimento e oltre, nonché in diverse culture, da quella Europea a quella Orientale, la spada a due mani fu molto meno utilizzata per impieghi pratici, rispetto alla stragrande maggioranza delle sue sorelle “minori”…almeno per dimensioni.
Potremmo asserire che tutto ciò che pesa troppo per essere utilizzato efficacemente con una sola mano può trovare un più facile impiego se utilizzato con due; infatti, già nell’Età del Bronzo si trovano (rari per l’esattezza) esempi di spade a due mani. Queste armi sono per dimensioni non molto più imponenti delle loro sorelle da impugnare con una sola mano…la tecnologia del bronzo non permette di costruire lame lunghe e flessibili…mentre lo sono sicuramente per peso, tanto da dover essere usate con entrambe le mani.
Come si diceva pochissime sono le citazioni che fanno riferimento a spade di questo tipo.
Una per tutte e d’origine prettamente simbolica, si trova nell’Epopea di Gilgamesh, primo poema epico nella storia dell’umanità, in cui si narrano per l’appunto le gesta eroiche di Gilgamesh, Re di Uruk.
Costui, per due terzi divino e per un terzo umano fa forgiare, per lui e per il suo amico Enkidu, dagli artigiani di Uruk, delle spade dal peso di un talento.

“Gli artigiani sedettero e rifletterono sul da farsi;
Essi forgiarono una grande ascia bipenne,
un’ascia-pashu dal peso di un talento di bronzo forgiarono,
le loro spade ciascuna dal peso di un talento forgiarono,
le loro guaine pesano ciascuna un talento.”

Babilonesi e Sumeri avevano un sistema in cui 20 sicli formavano una mina. Un talento era pari a 3000 sicli (circa 30-40 kg) come si ricava dall’Esodo 38, 25-26. L’armatura di bronzo del gigante Golia pesava 5000 sicli (Samuele 17, 5), cioè 50-65 kg.
Di là dall’assoluta necessità di possedere almeno i famosi due terzi di natura divina per poter maneggiare tali armi, è chiaro come già all’epoca l’imponenza delle armi aveva il proprio peso nell’immaginario popolare.

In epoche successive giungono testimonianze dell’utilizzo di spade usate a due mani come modo tipico di combattere delle tribù Galliche e Germaniche che per avere la meglio (o almeno provarci) sui legionari Romani li colpivano di taglio dall’alto verso il basso brandendo le spade con entrambe le mani. In effetti, le cronache riportano che i legionari erano intimoriti da questo brutale modo di combattere e dai potenti colpi che ne scaturivano…anche se poi questo non impediva certo loro di colpire i loro avversari con rapidi e letali colpi di punta al riparo dei propri scudi, com’erano addestrati a fare e come descrive Vegezio!
Come nasce e come si sviluppa l’arma che in Europa raggiungerà il suo apice a metà del 1500?
Molto probabilmente la sua vera genesi si deve all’evolversi dell’utilizzo delle armature in combattimento.
E’ logico pensare che quando ci si trova ad affrontare un avversario coperto da 30-40 kg di acciaio la classica spada ad una mano e il suo utilizzo perdano molto di significato. La spada, grazie anche all’evolversi della metallurgia, inizia quindi a mutare assumendo la foggia e le caratteristiche che noi attribuiamo a quelle della spada a due mani Europea.

Il primo testo di scherma giunto fino a noi, di origini Italiane, a descrivere l’utilizzo di tale arma è il “Flos Duellatorum” (1409) del Maestro Fiore dei Liberi.
Oltre a sapere che Fiore ha studiato, per sua stessa ammissione presso i migliori Maestri Tedeschi ed Italiani, sappiamo che nel momento in cui scrive il suo trattato è già in età avanzata; possiamo quindi presumere che il modo di combattere da lui descritto possa essere quello in uso nel nostro paese nella seconda metà del 1300.
Per quanto riguarda l’uso della spada a due mani Fiore distingue tra le tecniche da utilizzarsi protetti da un semplice “zupparello” (gambeson) e quelle da utilizzarsi in armatura completa (tanto da dedicare un apposito “capitolo” con guardie e tecniche specifiche a questo particolare tipo di combattimento) dimostrando un’efficacia, una perizia e dei giochi di una finezza inaspettata, soprattutto agli occhi di coloro che pensano ad un modo di combattere basato quasi esclusivamente su colpi potenti e brutali…a onor del vero bisogna però specificare che sicuramente nel gioco di Fiore la forza fisica trova una componente importante e ricopre un ruolo indiscusso.

Com’era fatta la spada a due mani di Fiori dei Liberi?
In parte si può evincere dalle illustrazioni sul suo trattato che ovviamente corrispondono alle armi di quel periodo giunte fino a noi.
Per averne però una descrizione dettagliata…anche se leggermente più avanti negli anni…dobbiamo aspettare il trattato del Maestro Filippo Vadi, datato tra il 1482 e il 1487, nel quale si evince quale potesse essere la passione e la fiducia che il Maestro Pisano riversava in tale arma:
“La spada da doi mane sola stimo
e quella sola adopro a mia bisogna,
de cui cantando nel mi libro rimo.”

Nel suo “De Arte Gladiatoria Diminicandi” il Vadi fornisce una esatta descrizione di quali devono essere le dimensioni della spada a due mani in uso nella seconda metà del 1400:
“La spada vole avere iusta misura
vole arivare el pomo sotto el brazio
come qui apare nella mia scriptura

Per volere schifare ancora impazio:
tondo el pomo per star nel pugno chiuso
e questo fa’ per non intrar nel laczio.

E fa che questo te sia ancora in uso
che ‘l ma(n)tener sia sempre d’una spanna
chi non ha sta misura sie confuso

A ciò che la tua mente non s’inganna,
vol l’elzo longo quanto el ma(n)tenere,
el pomo inseme, che non te condana.

Vol l’alzo forte e quadro nel dovere
con la ferruza larga e tracta in punta,
che per ferire e tagliare faccia el dovere.

Fa’ che tu note e intendi questa giunta:
si con spada in arme tu voi provare
fa’ che la taglii quatro dita in punta

col mantener che di sopra è ditto
col pontivo elzo et nota ben lo scripto.”

Per quanto concerne l’utilizzo della spada a due mani, ma come poi per tutto quanto il resto, il trattato di Vadi è molto simile nella struttura e in molte parti anche nei contenuti a quello di Fiore dei Liberi. Come lo stesso Fiore, Vadi distingue tra i giochi e le guardie che possono essere utilizzati “in arme” e non. A differenza del trattato di Fiore i colpi sembrano essere meno potenti ma più veloci e dal caricamento assunto nelle guardie è facile comprendere quanto il Maestro Pisano predilige al “colpo intero” il “mezzo colpo”.
La spada a due mani sembra però, in questo periodo, rimanere relegata alla pura arte del duello e mai è impiegata in maniera massiccia o in ogni modo con importanza tale da passare poi alla storia come avverrà nel 1500.

E’ proprio nel sopraccitato periodo storico che la spada a due mani o spadone evolve fino a raggiungere il suo apice. La lama si allunga, al termine del forte di questa ultima, sono collocati “due denti di arresto” per meglio consentire in maniera più sicura la “presa in armi”, anche l’impugnatura e le braccia dell’elsa principale si allungano. L’arma, che prima arrivava sotto l’ascella, ora cresce fino ad essere alta tanto quanto chi la deve utilizzare; è l’epoca dei “tranciapicche” (dal cui nome è facile dedurne il classico utilizzo) spadoni a due mani utilizzati in battaglia dai temutissimi “doppelsolder”.

Purtroppo, nulla di scritto è finora giunto fino a noi circa l’effettivo utilizzo di queste armi nei campi di battaglia rinascimentali; sappiamo però che versioni leggermente più piccole e maneggevoli potevano essere impiegate in duello e a tal proposito, conosciamo numerosi trattati.
Il più famoso è indubbiamente la “Opera Nova dell’Arte delle Armi” (nelle edizioni principali del 1536 e del 1568) del Maestro Bolognese Achille Marozzo.
Con Marozzo possiamo asserire che l’utilizzo dello Spadone raggiunge il suo apice per quanto riguarda la pratica del duello. Il Maestro Bolognese ne tratta con dovizia di particolari distinguendo tre tipi di giochi, largo, misto e stretto; proponendo infine una breve parte circa l’utilizzo di tali arma contro le armi in asta.

Proprio nel 1500, periodo di massimo splendore di quest’arma, fioriscono e si moltiplicano le fogge, accompagnate dalle più svariate dicerie se non addirittura leggende. A tal proposito vale la pena ricordare la “Flamberga”. Jacopo Gelli nella sua “Guida del raccoglitore e dell’amatore di armi antiche” lo definisce come:
“Spadone Svizzero, a biscia, in uso durante il XVI secolo, da non confondersi con la spada a due mani, che aveva la lama a biscia (dal francese Flamboyante), in quanto gli spadai Italiani si riferirono sempre a questo tipo di lama come “a biscia” in quanto imita la forma di una serpe quando striscia sul terreno.”
Replica moderna realizzata dal Cav Del Tin di uno Spadone a due mani da cerimonia con lama a Flamberga. Germania, fine secolo XVI°Secondo molti, purtroppo anche ai giorni nostri, alla lama “a biscia” vengono attribuite le più inquietanti credenze tra cui quella di non far rimarginare le ferite. In realtà, sappiamo dagli esemplari giunti fino noi che l’uso di queste armi era quasi esclusivamente “da decorazione” o “da parata” e la forma “a biscia” era poco più che una dimostrazione di abilità artigianale da parte del costruttore..

Autori successivi a Marozzo come Giacomo di Grassi o Francesco Alfieri forniscono nei rispettivi trattati, “Ragion di adoprar sicuramente l’arme” (1570) e “L’arte di ben maneggiar la spada” (1653), così come aveva fatto alla fine del ’400 Filippo Vadi la descrizione dello spadone in uso nei corrispettivi periodi.
“Giacomo Di Grassi – Del Spadone
Il spadone al modo eh ‘oggi s’usa con quattro palmi di manico &piu et con quella croce grande non e stato ritrovato affine di adoprarlo da solo a solo a ugual partito come l’altre arme delle quali habbiamo trattato, ma per poter con esso solo a guisa d’un galeone fra molte galere resistere a molte spade o altre arme … “

“Francesco Alfieri – Capitolo III de Lo Spadone
“…tal che esso Spadone viene ad esser compartito mezo in difendere, e mezo in offendere, e la sua lunghezza deve essere tanto lungo quanto è un huomo proportionato, ne grande, ne picciolo, esso deve havere doifili taglienti, e dev’esser molto leggiero, per poter l’osservatore di quest’arte, tirar di colpi di taglio, e punta, con maggior velocità, e minor fatica; ancora deve havere buon fornimento, per assicurare la mano istrumento principale d’operare secondo la natura, e regola dell’arte.“

Troviamo quindi la conferma dello spadone alto come la persona che lo brandisce e che presenta una guardia e un’impugnatura molto lunga (circa 4 palmi). Tale impugnatura permette, sfruttando come perno la mano forte (quella avanzata) e quella arretrata come leva, di aumentarne la velocità incrementando “il braccio” di utilizzo. Lo stesso di Grassi ne suggerisce l’utilizzo in difesa contro più persone.
Alfieri è l’ultimo trattatista Italiano a descrivere l’uso dello spadone, del resto come è logico pensare armi del genere risultano completamente anacronistiche oltre la metà del 1600 quando oramai le armi da fuoco hanno già preso il sopravvento su tutti i campi di battaglia d’Europa e non solo!

A cura di Paolo Tassinari – © 2007 Sala d’Arme Achille Marozzo

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