Brocchiero

Chiamato anche boccoliere è un piccolo scudo circolare solitamente del diametro di circa 30 cm, assimilabile ad un umbone con la penna allungata, dotato di maniglia sul retro e, a volte, di un corto spuntone (brocca) sul davanti, al centro, o di un gancio al quale appendere una lanterna di notte. Quasi sempre in metallo, ma anche in legno e in cuoio bollito, era spesso decorato in pelle o con vernici colorate, e il suo peso variava tra 1 kg e 1,5 kg.

I colpi vanno tendenzialmente parati con la superficie del brocchiero, in quanto il profilo, essendo circolare, non fornisce un blocco sicuro dell’arma avversaria. L’impugnatura centrale, inoltre, permette di orientarlo a 180 gradi semplicemente piegando il polso da una parte o dall’altra.

brocchiere

E’ forse una delle armi difensive più usate nella storia: il suo utilizzo era già consolidato nel 1200, e continuò fino al 1600, mentre la sua struttura subì fantasiose, seppur non sostanziali, modifiche del profilo, del diametro, delle decorazioni e della convessità e concavità della penna (si veda ad esempio il Talhoffer).

Diverse fonti scritte ed iconografiche ne attestano l’estrema diffusione in Spagna, in Francia, in Germania, in Inghilterra e in Italia, sia come strumento di allenamento che come arma da battaglia. Una cronaca della battaglia di Agincourt nel 1415 riporta l’uso di brocchieri da parte degli arcieri inglesi, e sappiamo che i soldati di Riccardo III ne erano equipaggiati. Ci piace riportare un passo da Dell’Arte della Guerra, in cui nel 1516 Niccolò Machiavelli descrisse la battaglia di Barletta avvenuta undici anni prima: “Erano scese di Sicilia nel regno di Napoli fanterie spagnuole, per andare a trovare Consalvo, che era assediato in Barletta da’ Franzesi. Fecesi loro incontro monsignore d’Ubignì con le sue genti d’arme e con circa quattromila fanti tedeschi. Vennero alle mani i Tedeschi. Con le loro picche basse apersero le fanterie spagnuole, ma quelle, aiutate da’ loro brocchieri e dall’agilità del corpo loro, si mescolarono con i Tedeschi, tanto che gli poterono aggiugnere con la spada; donde ne nacque la morte, quasi, di tutti quegli e la vittoria degli Spagnuoli.”

La scherma di brocchiero e spada era diffusa anche nei ceti più bassi: in Francia i duelli giudiziari venivano spesso svolti con bastone e brocchiero, e possiamo notare in uno dei pannelli del portale della cattedrale di Trani due figure affrontarsi con queste armi. Tra le varie testimonianze dell’ampia diffusione del brocchiero in ambito civile, citiamo quella del celebre Geoffrey Chaucer, il quale, nel suo I racconti di Canterbury (XIV secolo), nello specifico il racconto del fattore, racconta di due giovani studenti (laici) presso un monastero che vanno dal mugniaio sospettato di truffa armati di spada e brocchiero! Altro interessante aneddoto quello che riporta la presenza, nella Londra del 1200, di bande di giovani che la sera giravano per le strade della città sbattendo la spada e il brocchiero tra loro, motivo per cui erano definiti Swashbucklers. Questo problema urbano, e ovviamente la pericolosità del diffondersi di cittadini addestrati all’uso delle armi, portò alla pubblicazione di un editto che vietava l’insegnamento della scherma all’interno delle mura di Londra.

L’importanza schermistica e storica di questo tipo di scudo non deve stupire: le ridotte dimensioni permettevano di portarlo in qualunque occasione appeso alla cintura, e la sua versatilità, che permette tecniche efficaci quanto raffinate, poteva essere utile in diversi frangenti.

Non è quindi un caso che quasi tutti i trattati di scherma del periodo medievale e rinascimentale contemplino un gran numero di tecniche di spada e brocchiero. Per portare solo qualche esempio: i maestri tedeschi, dal Talhoffer al Ringeck, ne parlano ampiamente, di Grassi afferma che il brocchiero è un’arma pratica e molto usata, e Achille Marozzo vi dedica addirittura tutta la parte sulla descrizione delle guardie. Stupisce un po’, infatti, che Fiore de’ Liberi nel suo Flos Duellatorum abbia scelto di non trattare l’argomento.

A cura di Andrea Morini – © 2010 Sala d’Arme Achille Marozzo

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